Per un certo periodo ho abitato nel quartiere San Giovanni, a pochi passi da piazza Re di Roma. Vivevo in un appartamento molto bello esteticamente, con stanze ampie e soffitti alti, ma tragicamente esposto a nord. Non aveva balconi, e tutte le finestre davano su una scuola e su una strada trafficata, rumorosa a ogni ora del giorno. La luce non entrava mai pienamente, e gli ambienti restavano in quella penombra costante che alla lunga diventava opprimente.

Ogni volta che potevo, scappavo sul terrazzo dell’edificio. Era il mio rifugio, un luogo sospeso sopra il quartiere, dove potevo respirare e ritrovare un po’ di silenzio. Ci salivo per meditare, fare ginnastica o semplicemente osservare. Mi piaceva spingere lo sguardo oltre i muri scrostati, seguire con gli occhi il movimento delle persone per strada, o sbirciare attraverso le finestre dei palazzi vicini, quando al crepuscolo la gente si preparava alla cena. Quelle vite intraviste a distanza avevano per me il fascino di piccoli spettacoli quotidiani.

Il terrazzo aveva tutte le caratteristiche di un luogo liminale. Intonaci crepati, porte arrugginite, parapetti inquietanti. Proprio quella sua aria apocalittica e decadente mi affascinava. Aveva l’aspetto di una dimensione parallela, una backroom che custodiva storie passate e possibili, in attesa che qualcuno le raccogliesse.

In quel periodo, quel terrazzo è diventato per me una sorta di altrove. Un approdo personale, un luogo in cui mettere in pausa il rumore della città e quello interiore. Lì, tra ombre e silenzi, imparavo a guardare meglio: il cielo che cambiava colore, i dettagli trascurati dei palazzi, i gesti ordinari che si ripetevano sera dopo sera.

Non ho mai smesso di associare a quel posto una sensazione di malinconica libertà. Era imperfetto, scomodo, consumato, ma aveva il potere di restituirmi un frammento di respiro, un senso di appartenenza fragile eppure necessario. Forse è per questo che, a distanza di anni, lo ricordo come un approdo: uno di quei luoghi che segnano il tempo e ti rimangono dentro, anche quando non ci torni più.