Ci sono luoghi che non si cercano; si presentano a te come un dono, un invito inatteso che porta con sé il sapore di un’altra epoca. È così che è iniziato questo piccolo viaggio, con una telefonata e un pranzo da amici di un’altra vita.

Il genere di appuntamento che, già nel momento in cui lo accetti, sai che ti condurrà altrove. Un ex convento, un luogo carico di storia e di silenzi, immerso in un’atmosfera sospesa. L’edificio sembrava appartenere a un’epoca distante qualche centinaio d’anni dalla nostra. Le mura spesse, la pietra consumata e le finestre strette filtravano la luce come in un antico set fotografico, perfetto per un reportage d’architettura storica.

I corridoi si snodavano in percorsi intricati, nidificati come rami di un albero secolare. Stanze collegate tra loro da dislivelli e scalini, porte che si aprivano su ambienti inattesi, passaggi segreti che raccontavano di vite e storie dimenticate. Ogni passo era una scoperta, ogni svolta rivelava un nuovo frammento di bellezza. Era un autentico approdo in un mondo parallelo, un viaggio fotografico senza bisogno di passaporto.

Avrei voluto scattare molto di più. Ogni angolo era un’inquadratura naturale, una cartolina che parlava di luoghi nascosti e di un mondo che resiste al tempo. Ma la macchina fotografica è rimasta spesso a riposo: ero troppo impegnata ad ascoltare le voci, i ricordi, le emozioni che si intrecciavano a quell’architettura.

C’era la gioia di ritrovarsi, e insieme una sottile malinconia, come se il convento custodisse dentro di sé anche le nostre ombre. Un equilibrio fragile, sospeso tra luce e penombra, che non volevo interrompere con il rumore di uno scatto.

Sono uscita con la sensazione di aver vissuto un sogno reale: un approdo inatteso che resterà per sempre parte del mio personale atlante di luoghi e memorie. Forse un giorno ci tornerò, macchina fotografica alla mano, per completare il racconto e catturare ciò che questa volta ho scelto di vivere più che di documentare.